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domenica 5 maggio 2019

70 anni fa Superga, il Grande Torino mito per sempre



Alle 17:03, il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI, siglato I-ELCE con a bordo l'intera squadra del Grande Torino si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica di Superga, che sorge sulla collina torinese. Trentuno i morti. La squadra rientrava da Lisbona: aveva giocato un’amichevole con il Benfica. È l’avvenimento passato alla storia come Tragedia di Superga, avvenuta il 4 maggio 1949 a Torino. Cancellò la squadra degli «Invincibili» e segnò per sempre il mondo del calcio.

Settanta anni esatti sono passati da quel terribile schianto ma per i tifosi granata l'emozione, il dolore e l'orgoglio per il Grande Torino non invecchiano. Prima di tutto ci sono sempre loro, gli 'Invincibili'. E ogni 'vecchio cuore granata' è pronto al ricordo che non è mai un semplice rito.

"Il 4 maggio è un giorno intoccabile - ha ribadito Walter Mazzarri, il tecnico che ha riportato il Toro alle soglie dell'Europa - non solo per chi ha fede granata, ma per tutta l'Italia". E' la giornata delle celebrazioni per i 70 anni di Superga.

Presente tutto il popolo granata, con il corpo o con il cuore. A tutti era rivolto il messaggio di don Robella: «Il Grande Torino era come un vaso bello. Chissà cosa c’era dentro... Bel gioco, amicizia, valori grandi. E nel mezzo arriva la tragedia di Superga ed ecco che resta del vaso, di tanta bellezza: cocci, sogno infranto, dolore, lacrime».

«Consapevolezza che quello che è stato rotto non può essere rimesso insieme, la morte rompe queste cose e noi non possiamo rinascere. Noi come persone e non potrà rinascere quella squadra. Ma noi abbiamo qualcosa di più grande, se non possiamo rinascere possiamo risorgere: vuol dire tornare in vita in maniera nuova, paradossalmente più grandi».

«I cocci - ha proseguito don Robella - rinascono conservandoli e portandoli nel cuore. Tutto il popolo granata li conserva, i parenti, tutti coloro che hanno pianto. C’è storia, lacrime. Il Toro deve farsi portatore di questi valori, la società, la squadra, lo staff tecnico, tutti hanno un pezzo nel cuore di quella squadra. Che appartiene a chi conserva la memoria e la vuol far tornare grande. Un pezzo del caso è consegnato anche ai tifosi, a quel popolo che tutti giorni lotta, spera, piange, coloro che ogni giorno condividono questa speranza, anche ai bambini. Un pezzo a testa, ricomponiamo il vaso, che viviamo e diventa nostro, parte di noi».

«Non dobbiamo dimenticare, nessuno è esclusivo portatore, solo insieme si può ricostruire, soltanto senza divisioni, soltanto insieme allora ricostruiremo quel miracolo». Tutti insieme, in ogni piccolo gesto. Come quello di non negare ai bambini presenti vicino alla squadra un sorriso, una firma, una parola. Walter Mazzarri soprattutto è stato cercato dai piccoli «nani granata», come li ha chiamati proprio don Robella. In questo 4 maggio, anche così si ricostruisce quel miracolo. E la marcia ora può continuare a Superga, dove leggere e urlare il nome degli Invincibili e di tutti i caduti, un passo più vicino al cielo.

Per chi ha vissuto l'epopea del Grande Torino e la sua terribile fine, l'emozione è sempre forte: "Non potrò mai dimenticare quella mattina così triste, con quei tuoni spaventosi che lasciavano presagire qualcosa di brutto poi alla sera si è saputo che il Torino non c'era più. Che dolore immenso! Lavoravo in via Roma come vetrinista, il giorno dei funerali mi affacciai alla finestra con sgomento per vedere passare il funerale, quell'interminabile sfilata di camion con le bare dei giocatori". Ricordare il Toro degli Invincibili rinnova il dispiacere, ma ravviva anche ricordi di semplicità e romanticismo persi: "Andavamo in bici a vedere gli allenamenti al Filadelfia e ci trovavamo all'oratorio per seguire alla radio le partite, dal momento che pochi avevano gli apparecchi in casa. Ma c'era un problema - sorride Brocchetta - a quel tempo a Torino erano tutti tifosi granata, era difficile riuscire a organizzare una sfida tra noi ragazzi con quelli della Juve...". Ventisette anni dopo Superga, la gioia dell'ultimo scudetto, "del Toro di Pulici e Graziani, allo stadio con mio figlio, diventato anche lui un grandissimo tifoso, e con una famiglia di amici". Adesso Brocchetta il Toro lo vede "solo in tv, anche un po' per pigrizia - ammette - ma questa squadra è tornata a far paura a tutti".

Come dovrebbero fare sempre - pensano i cuori granata - gli eredi degli Invincibili.

Tra le iniziative editoriali che hanno accompagnato questo settantesimo anniversario della tragedia, il volume di Giuseppe Culicchia edito da Solferino «Superga 1949» in cui l’autore racconta come il Grande Torino era da tempo al di sopra del tifo campanilistico - circostanza oggi impensabile - in quanto un orgoglio per tutti gli italiani e il simbolo della rinascita di un Paese uscito distrutto dalla guerra.

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