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sabato 26 ottobre 2013

Adidas sponsor Juventus: 190 milioni in sei anni


Il club bianconero annuncia il nuovo sponsor tecnico: dal 2015-2016, quando scadrà il contratto con Nikedi Antonio Barillà.

La Juventus annuncia il nuovo sponsor tecnico: dal 2015-2016, quando scadrà il contratto con Nike, sarà Adidas (nella foto dell'articolo due ipotesi di maglia che già girano sul web).

"Juventus Football Club S.p.A. - si legge nella nota apparsa sul sito ufficiale - comunica di aver perfezionato un accordo con adidas International Marketing B.V. (in seguito “adidas”). Adidas diventerà sponsor tecnico di tutte le squadre Juventus a fronte di un corrispettivo fisso complessivo per i sei anni di durata del rapporto pari a 139,5 milioni di euro. Tale importo non include le forniture annuali di materiale tecnico e i premi variabili legati ai risultati sportivi di Juventus. Adidas gestirà inoltre le attività di licensing e di merchandising di Juventus a fronte di un corrispettivo fisso di € 6 milioni all’anno. Juventus beneficerà anche di royalties addizionali al superamento di determinati volumi di vendita. Fino al 30 giugno 2015, e quindi per tutta la stagione in corso e per la prossima (2014/2015), Juventus proseguirà la collaborazione con Nike quale sponsor tecnico e licenziatario". Di fatto, dunque, considerando anche il valore legato al materiale tecnico destinato a tutte le squadre Juventus, l'accordo raggiunge una cifra complessiva pari a 190 milioni di euro.

mercoledì 16 ottobre 2013

Inter: la svolta indonesiana di Thohir


Da Giacarta ha parlato a Rol anche Erick Thohir : «E’ una giornata storica - ha detto il magnate indonesiano - . In Indonesia in questo 15 ottobre si festeggia l’Ed al.Adha. Speriamo che questa firma possa essere una benedizione». E’ la festa del sacrificio, quella in cui i fedeli si radunano in preghiera. “Sono molto felice per il fatto che continuerà ad essere presente come mio partner. Il lavoro fatto dalla famiglia Moratti, dalla Grande Inter di Angelo al Triplete di Massimo, ha reso l’Inter uno dei club più rispettati al mondo, per il suo valore in campo, e per il suo impegno sociale. Sono un imprenditore, ma prima ancora un tifoso e un amante dello sport. Non vedo l’ora di mettere la nostra passione e la nostra esperienza internazionale al servizio di questo fantastico Club e dei suoi tifosi».

Massimo Moratti non è più l’azionista di maggioranza dell’Inter. Dopo una trattativa durata sei mesi, alle 9.30 di martedì 15 ottobre 2013 il presidente nerazzurro ha firmato il contratto per la cessione al gruppo indonesiano che fa capo a Erick Thohir (avrà il 35% con Roeslani e Soetedjo al 17% ciascuno) del 70% del pacchetto azionario della società, che aveva rilevato sabato 18 febbraio 1995. In attesa dell’ufficialità del passaggio, la cifra che verserà il gruppo indonesiano a Moratti sarà di poco superiore ai 250 milioni di euro (che serviranno in gran parte a coprire i debiti). Le firme sono un passo importante, per certi aspetti storico, ma non sono vincolanti, in attesa che venga versata la prima tranche fra venti giorni (in termine tecnico il closing): sarà l’assemblea straordinaria di novembre a sancire il cambio di proprietà.

La situazione si era sbloccata il 18 settembre, dopo l’incontro con il gruppo indonesiano avvenuto a Parigi, quando il presidente aveva verificato la serietà della controparte, in grado di offrire la giuste garanzie per un futuro di alto livello del club. È stato lo stesso Moratti a dare l’annuncio delle firme, ammettendo di essere «emozionato», per un passo che fino a sei mesi fa appariva inatteso. La trattativa era diventata pubblica il 9 maggio, poi era andata avanti lentamente, per costruire le condizioni per un passaggio di proprietà complesso nella sostanza e nella forma. Sembrava che tutto potesse saltare il 25 luglio, quando Thohir era venuto a Milano e aveva proposto a Moratti un contratto molto diverso da quello sul quale si era discusso fino a quel momento. Poi la trattativa si era riaperta e ora è arrivato il momento delle firme. È possibile che Moratti resti presidente: «Ci penserò», ha ribadito in queste ore. «Quello che conta è che l’Inter resti in alto».

Dopo le firme Moratti ha spiegato: «Sono soddisfatto, i tempi sono stati lunghi ma mi sembra che la cosa sia equilibrata e fatta bene. Dispiace sempre quando cambia qualcosa, non credo dovrò adattarmi ad un ritmo diverso. Da una parte c’è ovviamente l’amore per tutto questo e dall’altra il sollievo per aver messo in mani buone la società. Di questo sono sicuro perché è gente molto per bene. Ogni presidente dà una sua impronta, forse con il tempo ce ne sarà una diversa ma l’importante è che sia sempre rispettosa del resto del mondo e questo credo sarà».

'Faremo di tutto perché la società abbia un vantaggio. Sotto certi aspetti è una storia che continua perché rimarrò in società per quel che potrà essere utile''. Lo ha detto Massimo Moratti all'uscita della Saras dopo la firma dell'accordo con Erick Thohir. Dopo la firma con Erick Thohir per il passaggio delle quote dell'Inter Massimo Moratti ha precisato che ''non è concluso nulla perché ci sono ancora tanti passaggi. In questo momento c'è attenzione a quello che stanno facendo e non ci si può perdere nella commozione, anche se ci sono mille sentimenti con cui fare ordine''.

Discriminazione razziale e territoriale cambia la norma, arriva la condizionale



Il Consiglio federale ha modificato l'applicazione della norma che aveva inizialmente causato la squalifica (poi congelata) di San Siro per cori di alcuni tifosi milanisti in trasferta a Torino. Beretta: "Il problema è la sanzione, va commisurata."La Figc introduce la condizionale per fatti di discriminazione razziale e territoriale. È quanto deciso stamane dal Consiglio Federale che, di fatto, applicherà una sorta di ammonizione per le società le cui tifoserie si saranno rese protagoniste per la prima volta di fatti di razzismo. La pena pertanto resterà sospesa per un anno solare, ma sarà applicata nel caso in cui i supporters della stessa squadra si renderanno protagonisti di ulteriori fatti di razzismo nel periodo considerato. In questo caso la nuova sanzione si sommerà a quella nel frattempo "congelata". Le sanzioni vanno dalla chiusura di un settore fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla chiusura dell'intero impianto, come previsto già prima della modifica. Un'ulteriore novità introdotta oggi è quella che prevede la valutazione della portata del fenomeno discriminatorio, per cui verrà tenuto conto se a fare cori razzisti saranno una minoranza di tifosi oppure diverse migliaia.

L’opinione di Maurizio Beretta la possiamo definire così: devono essere sanzionati i fenomeni per quello che sono e capire le dimensioni, 20 fessi scalmanati possono prevaricare 50mila tifosi per bene e far chiudere uno stadio. "La questione non è la discriminazione territoriale ma il problema delle sanzioni, che così come era stato pensato e ipotizzato non va bene, perché non ottiene il risultato voluto. Tutti siamo d'accordo nel modularlo in maniera diversa, perché devono essere sanzionati i fenomeni per quello che sono e capire le dimensioni, 20 fessi scalmanati possono prevaricare 50mila tifosi per bene e far chiudere uno stadio intero".


mercoledì 9 ottobre 2013

Discriminazione territoriale norma da modificare per il rispetto dei tifosi e delle società




La sera del 6 ottobre 2013, durante la partita di Serie A tra Juventus e Milan, una parte dei tifosi del Milan ha cantato il coro «Noi non siamo napoletani»: il giudice sportivo ha deciso che per questo il Milan giocherà a porte chiuse la prossima partita in casa, sabato 19 contro l’Udinese, e dovrà pagare 50 mila euro di multa. Il giudice sportivo, che può decidere in autonomia pene da assegnare alle società «commisurate alla natura e alla gravità dei fatti commessi», ha motivato la decisione dicendo che i tifosi del Milan hanno cantato un «insultante coro, espressivo di discriminazione territoriale nei confronti dei sostenitori di altra società».

Il presidente della Lega di A: "Rischiamo di consegnare le chiavi dello stadio a minoranze ". Il presidente federale: "Ogni forma di razzismo va punita, ma bisogna cercare di tarare al meglio le pene attraverso un'attenta riflessione".

Il prossimo Consiglio Figc esaminerà il tema della chiusura degli stadi per discriminazione territoriale. Lo annuncia il presidente federale Giancarlo Abete dopo aver ricevuto la lettera della Lega di A. La data non è stata ancora stabilita 'essendoci un procedimento appellato ancora in corso', ovvero il ricorso Milan. 'Bisogna fare attenzione -dice Abete- all'applicazione della norma. Nell'ambito delle procedure serve che la norma sia sanzionatoria e non si presti a strumentalizzazione'.

La Lega di Serie A dice no alla chiusura totale degli stadi per i cori di discriminazione territoriale. È questo il pensiero espresso dal presidente Maurizio Beretta. "Abbiamo spedito formalmente alla Federcalcio una lettera chiedendo di modificare la norma sulla discriminazione territoriale

''Bisogna fare attenzione - ha detto Abete parlando a Napoli a margine della presentazione di Italia-Armenia in programma martedì 15 - all'applicazione della norma. Nell'ambito delle procedure serve che la norma sia sanzionatoria e non si presti a strumentalizzazione da parte degli stessi soggetti''. ''Non si tratta di una marcia indietro - ha spiegato Abete - e del resto neanche la Lega chiede questo''.

Cori e squalifiche ci stanno cucendo addosso la maglia nera nella lotta contro il razzismo. E allora, che fare di fronte all’emergenza curve? La domanda attraversa società calcistiche e istituzioni, ma sulla risposta il pallone si spacca. Per questo, nella giornata di ieri, la Federcalcio ha imbastito una reazione imperniata su due concetti: no al dietrofront, sarebbe una figuraccia e una resa; sì a qualche accorgimento, fatto di gradualità e di buonsenso, un segnale di apertura almeno parziale verso i club, che arriva contestualmente a un invito a fare di più nella battaglia contro una certa "lingua" delle curve.

Il Milan farà ''ricorso in ogni sede possibile'' contro la partita a porte chiuse con cui è stato punito per cori espressione di discriminazione territoriale. Lo ha detto l'ad rossonero Adriano Galliani. 'Mi auguro che lo stadio sia pieno contro l'Udinese, lo spero'', ha spiegato Galliani durante la presentazione del rinnovo del contratto con Adidas. ''Senza entrare nello specifico, posso solo dire che faremo ricorso in tutte le sedi dove sarà possibile contro la chiusura dello stadio, per cercare di evitare questa punizione'', ha aggiunto

“Il provvedimento è sproporzionato: non bisognerebbe penalizzare tutto lo stadio, nemmeno la società che vuole prevenire": a 'Lazio Style Radio' il presidente della Lazio Claudio Lotito torna sul dibattito sulla possibile riforma della norma sulla discriminazione territoriale. "I club che mettono in pratica norme attenuanti non dovrebbero essere censurati per colpa di pochi.

Ritengo sbagliata la proposta di chi vuole togliere punti alle squadre" per episodi di razzismo. Lo ha detto in occasione del premio Liedholm il presidente dell'Uefa Michel Platini. "Così si punirebbero i calciatori e non i tifosi. Dobbiamo punire i tifosi e non farli entrare negli stadi, al massimo chiudendone una parte", ha aggiunto Platini.
"Discriminazione territoriale? E' una parola che ho imparato questa sera". Così il presidente dell'Uefa, Michel Platini, a margine della consegna del 'Premio Liedholm'. "L'Uefa - ha detto - dà le indicazioni, poi ognuno può fare di più, se lo ritiene utile. E l'Italia può introdurre la parola 'territoriale'.



martedì 1 ottobre 2013

I portieri di Jonathan Wilson. Jascin era il migliore?



Jonathan Wilson, scrittore, giornalista, ex football correspondent de Financial Times nonché fondatore e direttore del trimestrale calcistico The Blizzard, ha scelto di scrivere un libro interamente dedicato al ruolo del portiere. Con una prefazione di Dino Zoff.

Leggere le storie di Zamora e Jašin, N’Kono e Bell, Banks e Shilton, Zoff e Buffon, ci permette di guardare il calcio da una prospettiva inedita, di leggerlo per la prima volta come se fosse un unico romanzo corale, con protagonisti indimenticabili.

Il giorno di natale del 1937 il portiere del Charlton, Sam Bartram, era molto soddisfatto della squadra: era almeno un quarto d’ora che, dalla nebbia dello stadio del Chelsea, non spuntava nessun attaccante avversario. Segno che i suoi stavano attaccando. Però un poliziotto gli disse che, in realtà., da un quarto d’ora la partita era stata sospesa e che gli altri 21 giocatori lo stavano aspettando negli spogliatoi.

Il calcio non è sempre stato così come lo conosciamo oggi. È cambiato, in questi primi cento e più anni di vita, molto: nella tattica, nei ruoli, nelle regole, nel numero dei giocatori. L’ultima rivoluzione risale al 1992, quando fu vietato al portiere di raccogliere con le mani il retropassaggio della difesa amica. Prima ancora c’era stata l’introduzione del fuorigioco, una delle regole principe, oggi. Prima ancora, negli ultimi anni del diciannovesimo secolo, i cambiamenti erano stati anche più radicali. Si trattava, allora, di segnare nettamente un confine tra il rugby e quel nuovo sport giocato con un pallone rotondo da prendere a calci.

L’autore parla di Ricardo Zamora e Moacir Barbosa, passando per Gatti, Fillol, Chilavert, Van der Sar e molti altri ancora, senza tralasciare incursioni nell’universo letterario citando Umberto Saba, Nabokov, Sartre, Soriano e molti altri autori che hanno scritto pagine bellissime sul ruolo del portiere, e anche giocato in porta. Il risultato è un volume ricco di aneddoti, unico nel suo genere: Jonathan Wilson ha realizzato un libro imperdibile su questa figura

Il football definibile come moderno, vale a dire quello delineatosi nella seconda metà del diciannovesimo secolo era, ancorché confuso in certi punti, già ben distinto dal cugino rugby. Eccezion fatta per il ruolo del portiere: fino al 1887 poteva giocare la palla con le mani ovunque, e fino al 1892 poteva essere senza problemi placcato dagli avversari, in quanto era, ancora, in potere di utilizzare le mani fino alla metà campo. Questo spiega il successo di giocatori come William “Fatty” Foulke, nato nel 1874, diventato professionista nel 1894 e ritiratosi nel 1907. Foulke, che giocò anche una stagione con il Chelsea nel 1905, arrivò a pesare, a fine carriera, circa 170 kg (per 1,93 metri). Anche per via della sua stazza William Foulke divenne un personaggio molto celebre al di fuori del mondo sportivo.

Il libro continua con la figura mitica di Lev Jašin e prosegue con altri personaggi, alcuni rimasti indelebili anche nella mente dell’appassionato italiano, come Thomas N’Kono e Peter Shilton.

Ma c’è anche Zamora, così famoso che, quando il suo omonimo Niceto Zamora divenne premier della Spagna, pare che Stalin fosse convinto si trattasse del portiere. E poi Gyula Grosics, portiere della Grande Ungheria degli anni 50, «unanimemente considerato un pioniere nel lasciare la linea e l’areadi porta». Perché, come spiegava lo stesso Grosics, il portiere doveva ormai integrarsi col resto della squadra. Evoluzione di un ruolo che continuò con l’Ajax di Rinus Michels e la teoria di Cruijff secondo la quale «il portiere deve essere un giocatore normale con i guanti». Parlavano di Heinz Stuy, il numero 1 dei lancieri, tre volte vincitori della Coppa dei Campioni tra il 1971 e il 1973.

Negli Anni ’30 il giornalista inglese John Macadam, assistendo a una partita della Nazionale azzurra con Aldo Olivieri tra i pali, notò come gli italiani si concentrassero nelle zone dietro la porta non, come gli inglesi, per assistere alle più pericolose azioni da goal, ma per poter vedere il portiere all’opera. «Il portiere continentale» scriveva «è più di un giocatore della squadra. È il supremo artista, la quintessenza dell’abilità atletica. Gli attaccanti, i mediani, i difensori possono giocare come vogliono e saranno giudicati secondo i loro meriti, ma se il portiere non riesce per qualsiasi ragione a mettere su uno show spettacolare, il pomeriggio è rovinato».

Tra tutti i ruoli, quello del numero uno è il più affascinante e il meno intelligibile. È difficile capire il perché qualcuno possa scegliere una posizione in cui, per novanta minuti, si gioca da soli contro tutti. Contro gli avversari, è ovvio, ma in parte contro gli stessi compagni: è solo da un loro errore, una loro leggerezza o disattenzione che l’attaccante avversario può essere in condizione di ferire, rendendo così il portiere la personificazione dell’ “estremo rimedio”. E certo, questo spiega la fascinazione della letteratura per il ruolo. «È una cosa che funziona in entrambi i versi», ha raccontato Jonathan Wilson a Studio «ci sono stati molti poeti e scrittori che hanno giocato in porta, e quando qualcuno ha cercato di scrivere qualcosa sul calcio, è il portiere il ruolo che ha fornito più ispirazione. Credo che lo scrittore o l’intellettuale veda se stesso come un individuo con una prospettiva unica sulla società che lo circonda, come il portiere ha una prospettiva unica sulla partita, insomma, se vuoi scrivere di calcio in un certo modo letterario, come ad esempio ha fatto Julian Barnes, è abbastanza ovvio scegliere come soggetto il portiere: è quello che durante una partita ha più tempo per pensare, ed è il pensiero che rende l’uomo interessante».
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