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domenica 7 settembre 2014
Gaetano Scirea, sono passati 25 anni
Era il 3 settembre 1989 quando l'indimenticato campione juventino morì a 36 anni in un incidente stradale in Polonia. La sua storia si è interrotta improvvisamente con la Fiat 125 sulla quale viaggiava tamponata da un furgone. Un rogo improvviso, la morte. Ligio alle indicazioni della società era andato a visionare il prossimo rivale della Juventus in Coppa Uefa, lo sconosciuto. All'epoca della disgrazia era vice dell'allenatore Dino Zoff: Scirea è sempre stato considerato una delle più nobili figure della storia del calcio italiano.
La Juventus lo ricorda così con una nota sul proprio sito ufficiale: "Esempio di lealtà e correttezza in campo grazie alla classe cristallina di cui era dotato, che gli permetteva di ergersi tra gli avversari con eleganza e intelligenza (mai un'espulsione in carriera), fuori dal terreno di gioco è stato un modello di umanità e garbo, stimato da tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e dalle generazioni future. Nel 25esimo anniversario della sua scomparsa, la società e tutto il popolo bianconero si stringono a Mariella e Riccardo nel ricordo dell’indimenticabile campione".
Ci sono campioni che è impossibile non amare e apprezzare, indipendentemente dalla maglia che indossano. Campioni che vanno al di là del club che rappresentano e che raccolgono affetto e ammirazione anche quando sfidano la tua squadra del cuore. Capita raramente, ma ci sono. Gaetano Scirea è stato uno di questi.
Certo, l'associazione di idee con la Juventus è immediata, al punto da non considerare le quasi sessanta presenza nell'Atalanta (a voler essere precisi 58 presenze e un gol). Dici Scirea e te lo ricordi là, in mezzo alla difesa a testa alta a controllare e coordinare il lavoro dei suoi compagni bianconeri con alle spalle un altro taciturno, Dino Zoff, che proprio con Scirea aveva finalmente trovato uno che parlava ancor meno di lui.
Ma è altrettanto immediata l'associazione di idee con la Nazionale, la squadra capace di superare tutti i campanili e di unire in un solo abbraccio i giocatori che mai ti sogneresti di applaudire durante la stagione normale. Sempre là, in mezzo alla difesa, più o meno con gli stessi compagni bianconeri: al massimo, come nel vittorioso Mondiale dell'82, si trovava davanti Oriali come mediano. Per il resto la presenza juventina era massiccia, in difesa era come continuare a giocare in campionato.
Testa alta, eleganza nel gioco, capacità di chiusura sugli attaccanti avversari, tempismo impeccabile: questo era Scirea in campo, un libero perfetto, degno di essere affiancato ai più grandi di sempre nel ruolo. I tedeschi raccontavano le gesta di Beckenbauer? E noi italiani rispondevamo con Scirea, che non aveva nulla da invidiare al Kaiser.
Prima dei mondiali del 1978 nel ruolo di libero giocava un altro uomo silenzioso, un altro campione assoluto: Giacinto Facchetti. Scirea ne era l'erede designato, era già del giro della Nazionale da un paio d'anni, ma il posto da titolare era ancora del vecchio capitano che dirigeva le operazioni come se il tempo non fosse trascorso. Per ironia della sorte il sogno del Mondiale per Facchetti si infranse per un infortunio, colpito senza volontarietà da un collega più giovane in uno scontro del tutto fortuito. Un paio di costole fuori uso e addio all'Argentina. Il giovane collega che l'aveva condannato a fare da spettatore era Gaetano Scirea. Un passaggio di consegne che nessuno dei due avrebbe mai voluto avvenisse in quel modo. Ma la dimostrazione di come il caso, anche se non esiste, spesso si manifesta e ci convince che è meglio crederci.
Quattro anni dopo, vincendo il Mondiale dell'82, Scirea è stato consegnato alla storia e alla memoria di tutti nella formazione che nessuno dimenticherà mai: Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. Con l'ingresso di Bergomi e Altobelli a completare il trionfo. Non ce ne vogliano i campioni del 2006, ma l'82 è stata proprio un'altra cosa.
Oltre al titolo di campione del mondo ha collezionato sette scudetti, due Coppe Italia, una Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa, una Supercoppa europea. Ma più delle vittorie resta in tutti quelli che l'hanno visto il ricordo di quella testa alta, in mezzo alla difesa, a guardare sempre un po' più avanti degli altri.
Ogni tanto, negli stadi italiani, compaiono striscioni che ironizzano sulla morte di Scirea. È il segno di due cose: l'imbecillità di chi li scrive e la dimostrazione della grandezza di un campione che, dopo tanti anni, viene ancora preso di mira come se fosse sempre lì, in mezzo al campo, a guidare la sua impenetrabile difesa.
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