E pensare che solo due anni fa di questi tempi molti degli ottomila che sabato hanno scavallato l’appennino per il B-Day di Firenze si davano appuntamento a Carpenedolo per un’altra giornata entrata comunque a suo modo nell’ultracentenaria storia del Parma, il No Ghirardi Day, manifestazione di protesta (più o meno) pacifica sotto casa dell’ex presidente accusato d’aver condotto la società sul lastrico. Come sabato sera fuori dal Franchi anche quel pomeriggio, era diverso però l’umore, e parecchio: proprio in quei giorni il club fondato il 16 dicembre del 1913 e con qualcosa come quattro titoli internazionali in bacheca (una Coppa Coppe, 2 Coppe Uefa, una Supercoppa europea) falliva per la seconda volta in un decennio, dopo il crac Parmalat datato 2004.
Mesi tremendi durante i quali tutti ci chiedemmo come diavolo avesse fatto a creare un cratere da 218 milioni, e soprattutto a causa della mancata sorveglianza di chi. Due anni dopo il Parma è di nuovo in B grazie a una nuova proprietà (imprenditori locali fra cui Barilla più azionariato popolare), a un nuovo nome (SSD Parma Calcio 1913) e soprattutto a un formidabile percorso netto sul campo, due promozioni in altrettante stagioni, sul quale non in molti avrebbero scommesso. Il Parma a un certo punto stava correndo il rischio, era fine novembre scorso ma dopo una bruta sconfitta interna col Padova il cda ha avuto il merito di non cedere a pericolosi romanticismi spazzando via tutta l’area tecnica colpevole d’aver sottovalutato la categoria: i licenziamenti del responsabile Lorenzo Minotti e dell’allenatore Gigi Apolloni uniti alle conseguenti dimissioni in segno di protesta del presidente Nevio Scala avevano fatto storcere il naso a qualcuno, come se si fosse trattato di una mancanza di riconoscenza verso tre padri della patria. Il tempo ha detto che è stata una buona scelta.
Non ci è arrivato dalla porta principale, quella è toccata nel suo girone al Venezia, ma il Parma alla fine ci è riuscito: di nuovo in Serie B. Fallito il 22 giugno 2015, finito nell'inferno della serie D e, quest'anno, nel purgatorio della Lega Pro, il club emiliano ritorna nel calcio che conta. "Serie B obiettivo minimo", urlavano i tifosi al momento di salutare la nuova società nata dopo la tragicomica vicenda Ghirardi-Taci-Manenti. A fatica, con un pizzico di fortuna, non in modo trionfale, ma alla fine è solo il risultato che conta. Non è stata comunque una stagione facile. Esonerati in un sol giorno a dicembre l'allenatore Luigi Apolloni, il responsabile dell'area tecnica Lorenzo Minotti e il direttore sportivo Andrea Galassi con le conseguenti dimissioni del presidente Nevio Scala, il Parma è finito nelle mani del tecnico Roberto D'Aversa e del direttore sportivo Roberto Faggiano.
"La fine del calcio biologico", tuonò lo stesso Scala che fino ad allora aveva presentato il nuovo club emiliano come il paladino di un nuovo modo di fare calcio. Già, sino a quando i risultati aiutano. In D, senza mai perdere, Apolloni aveva conquistato in carrozza la promozione, ma in Lega Pro la musica era cambiata e la posta in palio era troppo importante per restare fedeli alla linea sino in fondo. Meglio provarci allora come fanno tutti i club: via il tecnico, anzi via tutto lo staff dirigenziale che aveva fatto mercato e messo in campo la squadra. D'Aversa e Faggiano come primo atto, grazie ai soldi della proprietà, hanno comprato e non poco nel mercato di gennaio. Il Parma, a febbraio, era totalmente rivoluzionato con ben 7 nuovi giocatori titolari su undici. Ma il cammino restò difficile. Per diverse settimane la squadra emiliana si illuse di poter rimanere agganciata al Venezia. Metafora della stagione la sfida diretta con la formazione di Pippo Inzaghi in Laguna. Meritatamente in vantaggio 2-0, con una sonora lezione di calcio agli avversari per quasi un'ora, il Parma fu capace di farsi recuperare e di pareggiare alla fine 2-2. Lì di fatto si chiuse la rincorsa al primo posto, all'ingresso in serie B dalla porta principale. Il finale di campionato è stato un continuo alternarsi di alti e bassi, con sconfitte incomprensibili come quella con l'Ancona, ultima in classifica, in casa al Tardini.
Raggiunto il primo traguardo della serie B, la società guarda al ritorno nell'Olimpo vero del calcio. Senza fretta, senza rischiare nulla dal punto di vista economico e con un nuovo solido partner. I proprietari del club, sino ad oggi i massimi imprenditori locali ed un foltissimo azionariato diffuso che in questi mesi ha continuato ad ingrandirsi raccogliendo centinaia di adesioni e importanti risorse economiche, sono stati affiancati dalla cinese Desports, colosso del marketing sportivo dagli occhi a mandorla, che ha già versato nelle casse emiliane tre milioni di euro per il 30% della proprietà. Entro breve ne saranno versati altrettanti per salire al 60% con un programma di investimenti ulteriori di 15 milioni di euro proprio per essere protagonisti da subito anche in serie B. L'imprenditore parmigiano Marco Ferrari, deus ex machina del club emiliano, ma con al fianco big dell'industria come Guido Barilla, Pizzarotti Costruzioni e Dallara Automobili, resterà primo garante della città di Parma E logicamente i tifosi sognano ancora. Raggiunto, come previsto, l'obiettivo della serie B nel minimo tempo necessario, si vuole iniziare a pensare anche alla massima serie. Questa volta però non c'è fretta. L'era Ghirardi è ancora troppo vicina, troppo dolorosa, perché nella città emiliana si ipotizzi una scalata senza i conti in ordine.
A gennaio il nuovo d.s. Daniele Faggiano ha consegnato all’allenatore Roberto D’Aversa nove acquisti di livello fra cui il portiere Frattali, uno dei molti volti di questa promozione, brillante ieri contro l’Alessandria ma magnifico in semifinale playoff col Pordenone quando ha parato due rigori. E dire che a un certo punto era stato tirato in ballo per una presunta combine con l’Ancona, storia poi sgonfiatasi come un palloncino. Lui più altri due i personaggi chiave: Emanuele Calaiò, incontenibile trascinatore dell’attacco, e il capitano Alessandro Lucarelli arrivato ieri a quasi 40 anni all’ultima partita della carriera. Ai tempi del fallimento entrò nel comitato creditori, è rimasto anche in D.
Ce n’è poi in realtà un altro, di uomo chiave: Hernan Crespo, altra bandiera del Parma che fu. È stato lui a portare in società Jiang Lizhang, businessman cinese che da maggio ha il 30% delle quote ed entro qualche mese salirà al 60. Il modello è l’Atalanta, l’idea comprarsi Tardini e centro di Collecchio, l’obiettivo salire in subito A. L’ha detto D’Aversa: «In B saremo solo di passaggio». Intanto bentornato, caro vecchio Parma.
Nessun commento:
Posta un commento