Codice monitoraggio

martedì 1 ottobre 2013

I portieri di Jonathan Wilson. Jascin era il migliore?



Jonathan Wilson, scrittore, giornalista, ex football correspondent de Financial Times nonché fondatore e direttore del trimestrale calcistico The Blizzard, ha scelto di scrivere un libro interamente dedicato al ruolo del portiere. Con una prefazione di Dino Zoff.

Leggere le storie di Zamora e Jašin, N’Kono e Bell, Banks e Shilton, Zoff e Buffon, ci permette di guardare il calcio da una prospettiva inedita, di leggerlo per la prima volta come se fosse un unico romanzo corale, con protagonisti indimenticabili.

Il giorno di natale del 1937 il portiere del Charlton, Sam Bartram, era molto soddisfatto della squadra: era almeno un quarto d’ora che, dalla nebbia dello stadio del Chelsea, non spuntava nessun attaccante avversario. Segno che i suoi stavano attaccando. Però un poliziotto gli disse che, in realtà., da un quarto d’ora la partita era stata sospesa e che gli altri 21 giocatori lo stavano aspettando negli spogliatoi.

Il calcio non è sempre stato così come lo conosciamo oggi. È cambiato, in questi primi cento e più anni di vita, molto: nella tattica, nei ruoli, nelle regole, nel numero dei giocatori. L’ultima rivoluzione risale al 1992, quando fu vietato al portiere di raccogliere con le mani il retropassaggio della difesa amica. Prima ancora c’era stata l’introduzione del fuorigioco, una delle regole principe, oggi. Prima ancora, negli ultimi anni del diciannovesimo secolo, i cambiamenti erano stati anche più radicali. Si trattava, allora, di segnare nettamente un confine tra il rugby e quel nuovo sport giocato con un pallone rotondo da prendere a calci.

L’autore parla di Ricardo Zamora e Moacir Barbosa, passando per Gatti, Fillol, Chilavert, Van der Sar e molti altri ancora, senza tralasciare incursioni nell’universo letterario citando Umberto Saba, Nabokov, Sartre, Soriano e molti altri autori che hanno scritto pagine bellissime sul ruolo del portiere, e anche giocato in porta. Il risultato è un volume ricco di aneddoti, unico nel suo genere: Jonathan Wilson ha realizzato un libro imperdibile su questa figura

Il football definibile come moderno, vale a dire quello delineatosi nella seconda metà del diciannovesimo secolo era, ancorché confuso in certi punti, già ben distinto dal cugino rugby. Eccezion fatta per il ruolo del portiere: fino al 1887 poteva giocare la palla con le mani ovunque, e fino al 1892 poteva essere senza problemi placcato dagli avversari, in quanto era, ancora, in potere di utilizzare le mani fino alla metà campo. Questo spiega il successo di giocatori come William “Fatty” Foulke, nato nel 1874, diventato professionista nel 1894 e ritiratosi nel 1907. Foulke, che giocò anche una stagione con il Chelsea nel 1905, arrivò a pesare, a fine carriera, circa 170 kg (per 1,93 metri). Anche per via della sua stazza William Foulke divenne un personaggio molto celebre al di fuori del mondo sportivo.

Il libro continua con la figura mitica di Lev Jašin e prosegue con altri personaggi, alcuni rimasti indelebili anche nella mente dell’appassionato italiano, come Thomas N’Kono e Peter Shilton.

Ma c’è anche Zamora, così famoso che, quando il suo omonimo Niceto Zamora divenne premier della Spagna, pare che Stalin fosse convinto si trattasse del portiere. E poi Gyula Grosics, portiere della Grande Ungheria degli anni 50, «unanimemente considerato un pioniere nel lasciare la linea e l’areadi porta». Perché, come spiegava lo stesso Grosics, il portiere doveva ormai integrarsi col resto della squadra. Evoluzione di un ruolo che continuò con l’Ajax di Rinus Michels e la teoria di Cruijff secondo la quale «il portiere deve essere un giocatore normale con i guanti». Parlavano di Heinz Stuy, il numero 1 dei lancieri, tre volte vincitori della Coppa dei Campioni tra il 1971 e il 1973.

Negli Anni ’30 il giornalista inglese John Macadam, assistendo a una partita della Nazionale azzurra con Aldo Olivieri tra i pali, notò come gli italiani si concentrassero nelle zone dietro la porta non, come gli inglesi, per assistere alle più pericolose azioni da goal, ma per poter vedere il portiere all’opera. «Il portiere continentale» scriveva «è più di un giocatore della squadra. È il supremo artista, la quintessenza dell’abilità atletica. Gli attaccanti, i mediani, i difensori possono giocare come vogliono e saranno giudicati secondo i loro meriti, ma se il portiere non riesce per qualsiasi ragione a mettere su uno show spettacolare, il pomeriggio è rovinato».

Tra tutti i ruoli, quello del numero uno è il più affascinante e il meno intelligibile. È difficile capire il perché qualcuno possa scegliere una posizione in cui, per novanta minuti, si gioca da soli contro tutti. Contro gli avversari, è ovvio, ma in parte contro gli stessi compagni: è solo da un loro errore, una loro leggerezza o disattenzione che l’attaccante avversario può essere in condizione di ferire, rendendo così il portiere la personificazione dell’ “estremo rimedio”. E certo, questo spiega la fascinazione della letteratura per il ruolo. «È una cosa che funziona in entrambi i versi», ha raccontato Jonathan Wilson a Studio «ci sono stati molti poeti e scrittori che hanno giocato in porta, e quando qualcuno ha cercato di scrivere qualcosa sul calcio, è il portiere il ruolo che ha fornito più ispirazione. Credo che lo scrittore o l’intellettuale veda se stesso come un individuo con una prospettiva unica sulla società che lo circonda, come il portiere ha una prospettiva unica sulla partita, insomma, se vuoi scrivere di calcio in un certo modo letterario, come ad esempio ha fatto Julian Barnes, è abbastanza ovvio scegliere come soggetto il portiere: è quello che durante una partita ha più tempo per pensare, ed è il pensiero che rende l’uomo interessante».

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...