Il
presidente scrive agli azionisti: "La società è entrata in una
dimensione internazionale. Il calcio italiano ha sempre gli stessi
problemi: ci sono posizioni di rendita ingiustificata"
L'annuale
lettera agli azionisti del presidente della Juventus è stata
l'occasione per tracciare il bilancio sportivo e gestionale della
società bianconera. Agnelli elenca i successi degli ultimi anni,
sottolinea l'utile operativo della stagione 2013-2014, parla di
"profondo rinnovamento" per quanto riguarda la stagione in
corso. E non solo: allarga il discorso al calcio italiano,
individuando tre tematiche da affrontare al più presto: la creazione
delle seconde squadre, la riforma dei campionati e la situazione
degli stadi.
Un'occasione
per fare un punto sulla situazione anche attuale e di rifondazione
della squadra che nel complesso e unita alla crescita a livello
commerciale, può far guardare con ottimismo al futuro per quello che
sarà la Juve a 360 gradi. Ma anche per sottolineare ancora una volta
come la Juve stia andando ad una velocità
differente dal resto del movimento calcistico italiano,
con Agnelli che auspica un'accelerata nel processo
di riforma soprattutto
per quel che riguarda tre punti particolarmente cari al presidente
juventino: la creazione delle seconde
squadre, la riforma dei campionati e la situazione degli stadi.
Di
seguito il testo intergrale
Cari
Campioni d'Italia,
Dopo
un percorso iniziato nell’estate del 2010, con un’operazione di
completo cambio del management, un rafforzamento patrimoniale in
grado di sostenere il turnaround e una corretta gestione, la Vostra
società è riuscita a tornare sia al successo sportivo sia alla
sostenibilità economica. Quattro scudetti, tre supercoppe italiane,
una Coppa Italia, il crescendo dei risultati in Champions League, dai
quarti di finale nel 2012/2013 alla finale di Berlino, passando per
una semifinale di Europa League, sono stati accompagnati da una forte
espansione dei ricavi, che ha portato la società dapprima a
dimezzare anno su anno le perdite, poi a raggiungere l’utile
operativo nel 2013/2014 e l’utile d’esercizio nella stagione
appena conclusa.
Solamente
i grandi risultati sportivi, le vittorie a livello nazionale ed
internazionale, danno accesso a grandi ricavi, siano essi televisivi,
commerciali o sportivi. Ma solo in presenza di una struttura
equilibrata e diversificata di ricavi si può competere ad alto
livello
La
nuova sfida che il management e gli azionisti hanno oggi di fronte è,
se possibile, ancora più ardua, poiché dovremo avere la capacità
di fronteggiare il vero dilemma di ogni società calcistica di alto
livello: solamente i grandi risultati sportivi, le vittorie a livello
nazionale ed internazionale, danno accesso a grandi ricavi, siano
essi televisivi, commerciali o sportivi. Ma solo in presenza di una
struttura equilibrata e diversificata di ricavi si può competere ad
alto livello.
Il
profondo rinnovamento della rosa per la stagione 2015/2016, che
permette ai colori bianconeri di essere pienamente competitivi,
unitamente alle strategie di espansione dei ricavi tramite la ricerca
di grandi partnership globali (come quella appena entrata in vigore
con adidas, che proietta la Juventus in una dimensione internazionale
sia sotto il profilo dei ricavi sia sotto quello della grande
visibilità al pari di club d’eccellenza come Real Madrid o Bayern
Munchen) permetteranno alla Vostra società di consolidare il proprio
sviluppo.
La
strategia commerciale, messa a punto in questi anni, continuerà a
dare i propri frutti nell’ottimizzazione dei ricavi da sponsor e di
quelli provenienti dallo Juventus Stadium. Una grande sfida è
rappresentata dalla gestione diretta del licensing e del retail,
attività precedentemente preclusa da altri accordi commerciali, e da
una sempre maggiore capacità di raggiungere i quasi 300 milioni di
fan nel mondo grazie all’espansione dei mezzi digitali e
dell’ecommerce.
Gli
evidenti progressi della Juventus sul fronte della gestione non sono
stati tuttavia sufficienti per avviare una profonda e definitiva
riflessione a livello nazionale sul futuro del calcio italiano. Da
più parti, importanti esponenti del mondo del calcio invocano per il
nostro movimento la dignità di essere considerati a pieno titolo un
comparto industriale che contribuisce allo sviluppo del Paese sia con
il gettito fiscale sia con il cosiddetto indotto. Ma il calcio
italiano, purtroppo, non sta trovando al suo interno le risorse umane
adatte a rilanciarlo e ricollocarlo al centro del dibattito politico.
All’interno del nostro mondo si realizzano posizioni di rendita
ingiustificata, godute da soggetti che non sono né protagonisti né
finanziatori. Si tratta di realtà che hanno saputo con scaltrezza
“generare” il consenso di un sistema autoreferenziale. Nel
frattempo, per cinque volte su sei edizioni, le squadre italiane
qualificate al preliminare di Champions League hanno fallito
l’obiettivo di raggiungere la fase finale, e i club italiani, pur
in presenza di una congiuntura di mercato piuttosto favorevole, non
sono stati in grado di crescere al passo dei loro competitor europei.
Nel quinquennio 2009/2014, il tasso di crescita del giro d’affari
del calcio inglese è stato del 61%, quello tedesco del 46%, quello
spagnolo del 32%, quello francese del 42%, quello russo dell’86%,
quello turco del 62%. L’Italia nello stesso periodo è cresciuta
solamente del 14%.
L’auspicio
è che le prossime scadenze olimpiche, alla fine del 2016, portino ad
un’accelerazione della spinta riformatrice nelle componenti
costitutive del calcio italiano, favorendo il naturale ricambio degli
uomini, delle competenze e delle modalità di gestione del potere. Si
tratta di una riflessione che le Leghe, i calciatori e i tecnici
devono saper cogliere per non passare altri cinque anni, da oggi al
2020, a elencare quello che si dovrebbe fare ma nessuno fa.
Sarebbe
utile che alcune tematiche fossero affrontate:
1.
La creazione delle Seconde Squadre
2.
La riforma dei campionati
3.
La situazione degli stadi
Il
pallone deve tornare a essere al centro di questo mondo e, nel breve
termine, per il miglioramento del prodotto che offriamo agli
appassionati, sarebbe utile che alcune tematiche fossero affrontate:
1.
La creazione delle Seconde Squadre è stata rifiutata per troppo
tempo, mentre gli altri Paesi garantivano alle loro giovani leve una
crescita armoniosa. La serie A deve avere la forza di colmare il gap
generazionale che passa tra il campionato Primavera (under 19) e
l’accesso potenziale alle Prima Squadra, che avviene mediamente
verso i 22/23 anni.
2.
La riforma dei campionati è improrogabile e deve essere accompagnata
da una profonda riflessione sul tema della mutualità: chi viene
retrocesso deve essere salvaguardato in modo tale da non mettere a
repentaglio, come invece avviene oggi, la continuità aziendale. È
del tutto evidente che vicende come quella del Parma, fallito durante
il campionato, o le continue difficoltà di molti club nell’ottenere
le licenze UEFA, minano la credibilità di tutto il sistema e lo
rendono poco attrattivo per eventuali nuovi investitori, la cui
presenza è invece auspicabile in presenza di piani di sviluppo
chiari e di lungo termine.
3.
La situazione degli stadi, salvo rare e lodevoli eccezioni, rimane
invariata. Non solamente latita la pianificazione di nuove
infrastrutture, ma addirittura si lascia che le attuali strutture
continuino a operare in deroga rispetto alle normative in vigore.
L’introduzione della Goal Line Technology, un provvedimento
positivo, ha avuto costi che tutti i club hanno potuto affrontare
senza problemi. Purtroppo non altrettanto si può dire degli
investimenti in sicurezza e videosorveglianza di ultima generazione
che, con costi decisamente inferiori, coadiuverebbero in modo
determinante il lavoro delle forze dell’ordine favorendo
l’immediata individuazione degli autori dei misfatti e
verosimilmente alleggerirebbero la cosiddetta responsabilità
oggettiva, che dopo i recenti fatti del derby di aprile disputatosi
allo Stadio Olimpico di Torino, mi permetto scherzosamente di
definire “responsabilità immanente”. Ormai le responsabilità
individuali passano in secondo piano e il calcio italiano pare
soccombere a quest’aberrazione.
Penso
sia giusto, in conclusione, segnalare che la capacità di dialogare e
attuare riforme nella governance e nella rappresentanza non è frutto
di un’estemporanea velleità di un singolo club. Si tratta di una
tendenza ormai consolidata a livello europeo, grazie alla capacità
progettuale delle istituzioni, in particolare della European Club
Association (ECA), ma anche dell’UEFA.
L’ingresso dei club
nell’Executive Committee della UEFA è un risultato politico di
portata storica, ma è anche la testimonianza che le istituzioni ben
organizzate sono in grado di evolversi, avendo riguardo per quanti
nel calcio investono risorse economiche ed umane e hanno la legittima
aspirazione di far sentire la loro voce. Mi onora rappresentare i 220
club, provenienti da 53 diverse federazioni, in questo dialogo,
insieme con il Presidente Rummenigge. Negli ultimi dodici mesi ECA ha
saputo trovare con la massima istituzione europea un terreno di
cooperazione che ha portato alla firma anticipata di un nuovo
Memorandum of Understanding, valido fino al 2022. Questo accordo
prevede maggiori benefici per i club a partire dall’Euro 2020 e una
nuova mutualità tra Champions League ed Europa League.
Un
analogo e proficuo dialogo è stato avviato con la FIFA, ma i recenti
fatti alla ribalta delle cronache giudiziarie globali hanno al
momento rallentato il processo.
Una
prova ulteriore che nessuna istituzione può ignorare per lungo tempo
le richieste di maggiore trasparenza e di rinnovamento senza il
rischio concreto di essere travolta.
Fino
Alla Fine...
Andrea
Agnelli