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mercoledì 28 maggio 2014

Mondiali Brasile 2014, scontri tra polizia e indios



La polizia militare brasiliana ha disperso sparando gas lacrimogeni una manifestazione di indios che protestavano a Brasilia contro i Mondiali di calcio.

Proteste a Brasilia contro i mondiali, in migliaia in strada. Presenti anche cinquecento indigeni della foresta amazzonica vestiti coi costumi tradizionali. Dichiarato lo stato di emergenza a Manaus, che il 14 giugno ospiterà la prima gara mondiale di Italia e Inghilterra.

L’obiettivo? Protestare contro un progetto di legge che trasferisce a deputati e senatori il potere di demarcare le loro terre, potere oggi detenuto dal Funai, acronimo di Fondazione Nazionale dell’Indio. Quaranta minuti di sfilata con molti cacique con tanto di cocar in testa (così si chiama il colorato copricapo tipico indio) gran parte dei quali vestiti nei costumi tradizionali e con i volti dipinti con colori sgargianti che contrastavano col bianco dell’opera di Oscar Niemeyer che accoglie il potere legislativo.

Le forze dell’ordine protette da caschi e giubbotti antiproiettile che sparano lacrimogeni ad altezza uomo, gli indios a torso nudo e con copricapi di piume che rispondono scagliando frecce dai loro archi. Episodi avvenuti, nei pressi dell’Estadio Nacional Mané Garrincha, tutte le contraddizioni sociali e politiche che accompagnano i Mondiali di Brasile 2014. Le proteste, organizzate dai movimenti Nao Vai Ter Copa, volevano impedire l’esposizione al pubblico del trofeo mondiale, e sono riuscite.

E dall’Amazzonia giungono altre notizie disastrose. Il governatore della regione ha dichiarato lo stato di emergenza a Manaus, città al limitare della foresta che il 14 giugno ospiterà la prima gara mondiale di Italia e Inghilterra nell’inutile e faraonico stadio Arena da Amazonia, un impianto costato circa 250 milioni di euro e che a fine mondiale rimarrà una immensa cattedrale nel deserto: nella zona giocano solo minuscoli club di seconda serie che in questi mesi hanno portato nemmeno mille spettatori in un impianto che ne contiene quarantamila.

Se dopo i violentissimi scontri a Belo Horizonte, Manaus, Porto Alegre, Rio de Janeiro e San Paolo, a Brasilia si sono scomodati gli indios, capaci di arrivare in città con archi e frecce, e di usarli, significa che questo Mondiale invece di narcotizzare le contraddizione sociali del paese, le sta veramente esacerbando. Come se il calcio avesse smesso tutto d’un tratto di essere l’oppio dei popoli, e fosse invece diventato un mezzo per accrescerne la coscienza.

Gli indios sono stati fatti scendere dal tetto del Parlamento, ma si sono riuniti ad altri manifestanti – quelli dell’associazione “Coppa delle Manifestazioni”– e hanno marciato insieme verso lo stadio Mané Garrincha, lo stadio costato un miliardo e mezzo di reais (mezzo miliardo di euro) in una città in cui il Brasilia FC milita in quarta divisione.

Infine si scontravano con la Polizia a cavallo e qui avveniva il fattaccio, un indio scagliava una freccia in direzione dei militari e cominciava il lancio di lacrimogeni che disperdeva la manifestazione. Tutto questo bailamme di emozioni oltre a bloccare il traffico di Brasilia faceva anticipare di 4 ore l’esposizione del trofeo organizzato proprio ieri nei pressi dello stadio.

Tutto finito dunque? Neanche per idea. Mancava ancora l’ultimo tassello , quello messo da Joana Havelange, nipote di Havelange nonché figlia dell’ex capo della CBF Ricardo Teixeira ma, soprattutto, direttrice del COL, il Comitato che organizza a livello locale i Mondiali. Ieri ha pensato bene di postare su Istangram la seguente illuminante frase: «Quello che doveva essere rubato è già stato rubato». Scoperta da un giornalista l’ha tolta subito, adducendo che la frase non era sua ma l’aveva semplicemente ri-postata.


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