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martedì 9 ottobre 2018

Grobbelaar, la confessione shock



Nei peggiori incubi dei tifosi romanisti, il nome di Bruce Grobbelaar è inciso a fuoco: Stadio Olimpico, 30 maggio 1984, finale di Coppa Campioni fra Roma e Liverpool. Phil Neal porta in vantaggio i “Reds”, ma Pruzzo agguanta il pareggio facendo esplodere lo stadio di gioia. Ma il risultato si blocca lì: la partita finisce ai rigori, e inizia lo show di Grobbelaar, estremo difensore del Liverpool, che riesce a imbambolare Conti e Graziani, dando la vittoria ai “Reds”.

La carriera di Grobbelaar prosegue fino al 2002, quando abbandona il calcio giocato e tenta quella di allenatore in diverse squadre sudafricane, con fortune alterne.

"Il calcio mi ha salvato dalla depressione e mi ha tenuto lontano dai pensieri oscuri della guerra". Comincia così la confessione shock di Bruce Grobbelaar, ex portiere del Liverpool, che a The Guardian ricorda quando nel 1975, appena 18enne, fu arruolato nell'esercito del suo Paese natale (l'attuale Zimbabwe) per la guerra civile di Rhodesia. Una guerra cruenta che lo costrinse a uccidere un numero indefinito di guerriglieri antigovernativi di Robert Mugabe: "Era il crepuscolo e quando il sole inizia ad affossarsi vedi le ombre tra i cespugli - racconta l'ex portiere -. Non riesci a riconoscere granché finché non vedi il bianco degli occhi dei soldati. O vivi tu o loro. Spari, vai a terra e c'è uno scambio di proiettili. Poi senti delle voci che ti dicono 'Caporale, mi hanno colpito!' e fai per zittirle, altrimenti vieni ucciso tu e gli altri. Quando cessa il fuoco vedi corpi a terra dappertutto. La prima volta tutto quello che hai nello stomaco ti risale fino alla bocca. Quanti ne ho uccisi? Non posso dirlo. Ho ucciso tante persone e per questo ho sempre vissuto la mia vita giorno per giorno. Posso solo pentirmi di quello che ho fatto, ma non posso cambiare il mio passato".

 Grobbelaar, poi, racconta un episodio legato a un suo compagno ("Ricordo che tagliava le orecchie a ogni uomo che ammazzava e le metteva in un vaso... e aveva diversi vasi. La sua famiglia fu torturata e voleva vendetta") e ammette di aver rischiato di finire in depressione come altri soldati che decisero di suicidarsi ("Si uccisero simultaneamente in due bagni vicini all'accampamento"). Nel 1979 quando la guerra finì, l'ex portiere andò in Canada ai Vancouver Whitecap fino all'approdo al Liverpool l'anno successivo con cui vinse 6 Premier League, la Coppa dei Campioni del 1984 contro la Roma oltre a 3 Coppe d'Inghilterra. "La tifoseria mi chiamava Jungleman, uomo della giungla - ricorda ancora -. Dicevano che non ero bianco, che ero un nero con la pelle bianca. Il calcio mi ha davvero salvato dalla depressione e ha allontanato i pensieri oscuri della guerra".

Un anno dopo la vittoria all’Olimpico, un’altra esperienza traumatica: era fra i pali del Liverpool anche durante la tragica finale di Coppa Campioni contro la Juventus, allo stadio Heysel: “Fu ancora peggio della guerra: c’erano persone innocenti e sentire i muri che crollavano e i corpi che cadevano fu terribile”.

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