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giovedì 23 febbraio 2012

Lazio, Reja si dimette. Si, no, forse.

C’era una volta il campionato più bello del mondo. Ora non c’è più. Da tanto tempo. E’ rimasto quello delle polemiche. E’ rimasto il senso dello “show”, della spettacolarizzazione di un mondo dove il maggior fascino è esercitato oggi da quanto c’è intorno al rettangolo di gioco e non più da quello che c’è dentro.

Il frullatore impazzito del nostro campionato ha servito un altro caso paradossale. L’allenatore della S.S. Lazio, un signore d’altri tempi, un uomo in primis ed un ottimo allenatore poi, ha deciso di rassegnare le proprie dimissioni, respinte momentaneamente al mittente dal presidente Lotito a ventiquattro ore dall’incontro di ritorno con l’Atletico Madrid in terra di Spagna. Una partita segnata dall’esito dell’andata dei sedicesimi di finale di Europa League, 1 a 3 a favore dei madrileni che hanno passeggiato all’olimpico sui resti di una squadra falcidiata dai numerosi infortuni.

Il paradosso è che, al di là di un andamento in coppa che è stato altalenante e probabilmente non soddisfacente, la Lazio è al terzo posto in campionato. Si terzo. Un piazzamento che va al di là di ogni più rosea previsione, visto l’organico ridotto all’osso dai continui infortuni patiti dalla squadra capitolina.

Questi i fatti. Ma da amanti del calcio, quello giocato e non chiacchierato, facciamo fatica a comprendere tutto questo. Proviamo a fare chiarezza. I motivi che portano ad un gesto così plateale sono da ritrovare negli attriti tra l’allenatore di Lucinico ed il presidente più contestato della serie A italiana. Frizioni nate dopo la sconfitta con cinque gol al passivo subita dalla propria squadra a Palermo ma che hanno origini più lontane, ovvero una mancata campagna di rafforzamento di Gennaio dalla quale l’allenatore e i tifosi laziali si aspettavano mosse che permettessero di competere fino in fondo per un traguardo di prestigio e che invece hanno indebolito l’organico. Pensiamo ad esempio alla cessione di Cissè in Inghilterra senza un’adeguata contropartita, lasciando quindi il peso dell’attacco sulle spalle del solo Klose , che alle soglie dei 34 anni potrebbe fare fatica a sostenerlo. Anche se, a giudicare da quanto espresso finora dall’attaccante tedesco di origine polacca, l’età e la fatica non sembrano offuscarne la mira (Miro è il suo nome…”nomen omen” dicevano i latini...” un nome un destino”).

Ricordiamo che Reja, dopo essere stato anch’egli stato contestato, ha saputo pian piano conquistare un posto nel cuore dei tifosi che gli riconoscono il merito, anche dopo aver perso quattro derby di fila, di aver portato in alto una squadra che un paio di anni fa, alla guida di Ballardini, aveva rischiato anche la retrocessione. Complice anche una stracittadina vinta al fotofinish con un gol dell’attaccante tedesco. Al friulano era già accaduto quando era alla guida del Napoli di aver fatto cambiare idea ai propri tifosi. E questo accade solo quando c’è spessore sia umano che tecnico.

La piazza mediatica sportiva romana, come quella milanese, è una macchina tritacarne nella quale rimanere incastrati è davvero molto semplice. Il confine tra la gloria e l’umiliazione qui è davvero così sottile da rendere il tutto agli occhi di un osservatore che non conosca questo ambiente francamente incomprensibile. Ma una riflessione sorge spontanea. Se a detta del presidente Lotito (a dire il vero anche degli altri) a gestire una squadra di calcio non si guadagnano soldi ma se ne spendono, non si guadagna in immagine ma si rischia di logorarla, non si comprende davvero quali siano i motivi che spingano un presidente, che i tifosi accusano di non amare i colori e che ha trovato motivi d’attrito con molte delle strutture con le quali quotidianamente si confronta (Coni, Federazione, giustizia sportiva e tifoseria), a continuare con l’elmetto in testa contro tutto e tutti. O forse si?

Il nostro calcio così non è più appetibile per noi, figuriamoci fuori dai nostri confini.

Ma siamo cronici e non critici. Ad ognuno le proprie conclusioni.

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