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mercoledì 25 marzo 2015

90° minuto: ore 18 l’Italia per 45 minuti stava davanti alla tv



90° Minuto, il programma che per primo ha raccontato il calcio agli italiani, una storia iniziata domenica 27 settembre 1970, alle ore 17.45 ideata da Maurizio Barendson, Paolo Valenti e Remo Pascucci, che lanciò i vari collegamenti dai campi, come dimenticare quello da Ascoli affidato al garbo di Tonino Carino. Qui si potevano vedere e sentire i primi commenti dai campi e gli ascolti erano da record con punte di 20mln di telespettatori.

Intere generazioni di ragazzi  e non solo incollati al televisore, ogni domenica, alle 18, collegamenti dagli stadi, una serie di personaggi (nel senso più alto del termine) passionali, mitici, unici nel modo di raccontare il calcio, sotto la regia dallo studio, semplice ed altrettanto appassionata, di Paolo Valenti, vera figura di un certo modo di vivere il calcio, ormai troppo diverso.

Quanta nostalgia ripensando a quelle domeniche: dopo aver sentito Ciotti, Ameri a tutto calcio minuto per minuto, ci si precipitava al televisore per vedere i goals, a sentire i commenti di Bubba, Necco ed altri. Collegamenti dagli stadi, interviste, battute, frasi buttate lì, saluti (ricordate la manona di Luigi Necco con la folla che saltava alle sue spalle?), risate e tanto buon umore. La generazione cresciuta con Giorgio Bubba da Genova, Tonino Carino da Ascoli, Marcello Giannini da Firenze, Cesare Castellotti da Torino, Luigi Necco da Napoli (ed Avellino), Ferruccio Gard da Verona, Vasino da Milano, Franco Strippoli da Bari ed altri.

Paolo Valenti Il calcio, più in generale lo Sport, è un aspetto della vita: nasce, si sviluppa e cresce al passo con la società e non si può certo pretendere che resti immune dai profondi cambiamenti che hanno interessato e coinvolto tutta la vita di oggi. Da qui a perdere però la sua originaria missione - quella cioè di divertire e regalare emozioni - ce ne passa: il calcio è ormai una macchina da soldi; diritti TV, sponsor, contratti milionari, e tutto ciò che ci gira intorno ne fanno una vera e propria industria, con regole da rispettare, a costo di perdere qualcosa in semplicità e passione.

Sono stati quelli gli anni del calcio di provincia, di un calcio che, visto oggi, sembra di un altro mondo, di un’altra epoca geologica. Tonino Carino raccontava del mitico Ascoli di Costantino Rozzi e Carletto Mazzone, Luigi Necco del Napoli di Savoldi e poi Maradona e dell’Avellino di Diaz e Barbadillo, Ferruccio Gard dell’Udinese di Zico ed Edinho, Giorgio Bubba del Genoa e di quella Sampdoria che stava gettando le basi per un ciclo vincente. E poi il Verona dello scudetto, parentesi irripetibile e massimo esempio di un calcio che non esiste più, il Torino, commentato da Castellotti, secondo nel 1985 con Junior, ed anche Edy Bivi, che nell’anno dei Mondiali del 1982 seppe trascinare il Catanzaro al sesto posto.

Non lo sapremo mai: sentiamo resoconti che sembrano brani di letteratura, perfettamente grammaticati ed ordinati, ma manca la passione, la vitalità che certi interpreti sapevano trasmettere. La vera rivoluzione, sul finire degli anni ottanta, avvenne con il Milan di Sacchi e di Berlusconi, il primo a creare due (se non tre) squadre titolari, a spendere cifre folli ed a trasformare il calcio da gioco a macchina da soldi, determinando uno spostamento di valori, dal rettangolo di gioco alle risorse economiche. Detta così sembra un po’ brutale, ma se scorriamo l’albo d’oro del campionato di calcio degli ultimi vent’anni, a parte le parentesi della Sampdoria e delle due romane, hanno vinto sempre e solo le due milanesi e la Juventus, le uniche in grado cioè di dominare in campo e fuori (con enormi risorse finanziarie, testate sportive ecc.).

Nel calcio di oggi non sarebbero più possibili cicli come quello del Verona, della Sampdoria, che seppero vincere scudetti irripetibili, né sarebbero possibili personaggi come Bagnoli, Boskov, Mazzone, Anconetani o Rozzi. O, senza pensare allo scudetto, cicli come quello dell’Avellino, presente in serie A dal 1978 al 1988, del Catanzaro, dell’Ascoli, squadre di provincia che seppero imporre la loro forza nel calcio che conta. Ricordo la prima puntata di novantesimo minuto senza Paolo Valenti: il segno di un mondo che finiva, di un qualcosa che si chiudeva definitivamente. I collegamenti hanno incominciato a non interrompersi più, gli inviati diventavano più seri e professionali: una grande tristezza.

Non solo mezzibusti sportivi. Ma anche, e soprattutto, pezzi d’immaginario nazionale, 90° minuto andò in onda la prima volta nel settembre 1970. Da allora son passati 45 anni.




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