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venerdì 3 aprile 2015

Sacchi: «Pagato per non andare alla Juventus»



Uno dei passaggi più interessanti del libro ‘Calcio Totale’, scritto da Arrigo Sacchi, rivela che Silvio Berlusconi avrebbe pagato il tecnico di Fusignano per non andare alla Juventus: “Lui voleva solo evitare che andassi alla Juve e mi pagò per mesi anche dopo l’addio al Diavolo”. Una notizia che potrebbe far venire qualche rimpianto ai tifosi bianconeri, che nonostante i fasti del passato, avrebbero certamente gradito uno dei maestri del calcio moderno.

Lo ha rivelato lo stesso ex allenatore di Fusignano, nel suo libro "Calcio totale". Ne parla stamane il quotidiano Libero: l'idea di Arrigo, nonostante la vulgata, è sempre stata quella di un calcio per uomini e fatto da uomini, dove gli aspetti "tattico e umano" vanno di pari passo. Dove testa e cuore contano quanto piedi e schemi. Una storia di arrivi e ritorni, iniziata a Cesena, proseguita a Rimini, anni importanti a Firenze, Parma e Madrid e le vette toccate con Milan e Nazionale, arrivata "non per merito di Berlusconi, lui voleva solo evitare che andassi alla Juventus e mi pagò per mesi anche dopo l'addio al Diavolo. In Azzurro ho scoperto che il ruolo di ct è come quello di un eunuco nell'harem: hai tante belle donne vicino ma non puoi fare nulla".

Ancora retroscena raccontati da Arrigo Sacchi all'interno della propria autobiografia, "Calcio Totale". Uno di questi riguarda il suo primo addio al Milan, avvenuto nel 1991, dopo anni di trionfi: pochi mesi dopo l'addio ai rossoneri Sacchi sarebbe diventato il commissario tecnico della Nazionale. Come raccontato però oggi da Libero, in verità, a sponsorizzare Sacchi a divenire c. t. azzurro non fu Silvio Berlusconi, così come molti pensano: l'idea iniziale del numero uno del Milan era semplicemente quella di non spingere l'allenatore verso gli acerrimi rivali della Juventus.

Come spiegato dallo stesso Sacchi, Berlusconi lo avrebbe continuato a pagare anche dopo l'addio al Milan per non farlo firmare con la Juve: «Lui voleva solo evitare che andassi alla Juve e mi pagò per mesi anche dopo l’addio al "Diavolo"». Riguardo alla sua esperienza in Nazionale, invece, Sacchi racconta: «In azzurro ho scoperto che il ruolo di c. t. è come quello di un eunuco nell'harem: hai tante belle donne vicino ma non puoi fare nulla». Paragone più che mai azzeccato.

«Gli 80mila tifosi rossoneri che cantavano il mio nome nell’ultima partita col Milan; l’abbraccio con Baresi, che, venendo a centrocampo, cominciò a piangere perché aveva sbagliato il rigore; la gioia di Van Basten quando segnò il rigore alla Stella Rossa; il 5-0 al Real dopo la partita perfetta; il gol di Baggio contro la Nigeria all’ultimo minuto; il pullman che fendeva la folla di tifosi a Barcellona prima della finale con lo Steaua...»

 L’idea di Arrigo, nonostante la vulgata, è sempre stata quella di un calcio per uomini e fatto da uomini, dove gli aspetti «tattico e umano» vanno di pari passo. Dove testa e cuore contano quanto piedi e schemi. Una storia di arrivi e ritorni, iniziata a Cesena, proseguita a Rimini, anni importanti a Firenze, Parma e Madrid e le vette toccate con Milan e Nazionale, arrivata «non per merito di Berlusconi, lui voleva solo evitare che andassi alla Juve e mi pagò per mesi anche dopo l’addio al Diavolo. In Azzurro ho scoperto che il ruolo di ct è come quello di un eunuco nell’harem: hai tante belle donne vicino ma non puoi fare nulla».

Molto invece ha potuto Sacchi in rossonero, dove Gullit era il simbolo: «Quando partiva lui, con la criniera al vento, era come se squillasse la tromba dell’assalto». Un’esuberanza che Ruud teneva a stento a freno: «Il presidente chiese un mese di astinenza dal sesso, lui rispose: “Dottore, io con le palle piene non riesco a correre”». Aneddoti succosi, come quel giorno che Arrigo chiama l’amico e complice Berlusconi a Sankt Moritz: «Mi compri Ancelotti, è un gran giocatore, un professionista esemplare, un ragazzo straordinario». «Ma come faccio a comprarle un giocatore che ha la funzionalità ridotta del 20 per cento?». «Ma dove sono queste funzionalità ridotte?» chiede a Silvio. «Nel ginocchio». «Mi sarei preoccupato se le avesse avute al cervello». Quello stesso Ancelotti storicamente poco veloce e al quale «nei test sui 50 metri, per non demoralizzarlo, abbassavamo il tempo impiegato». Finezze psicologiche ma anche pratiche, come quando ai tempi del Rimini Zoratto aveva sempre problemi ai polpacci.

Una sera Sacchi lo sorprende avvinghiato in spiaggia in punta di piedi a una ragazza molto più alta di lui: «Prendi le chiavi del mio appartamento». Risolti i guai ai polpacci di Zoratto.

E poi Baresi, «il più bravo difensore mai visto, ma ogni volta che faceva un lancio per me era uno schiaffo», Van Basten, «la ciliegina sulla torta», il ribelle Massaro: «Eravamo tutti dallo psicologo a preparare una partita ma lui non c’era. Improvvisamente: bum-bum. Era Daniele nel bosco di Milanello che sparava col fucile per concentrarsi». Successi e trionfi, ma anche il rimpianto di «non essere stato un buon padre per le mie figlie» e la mai dimenticata sostituzione di Baggio a Usa ’94 con la Norvegia: «“Avrebbe mai tolto Maradona?”, mi chiese Roberto. Sì, gli ho risposto, per il bene della squadra. L’ho fatto tante volte anche con Gullit e Van Basten».



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